Francesco Petrocchi

Enti locali - la politica di frontiera

La forza di un ente locale di fornire risposte al cittadino viene messa a repentaglio sostanzialmente da un connubio di due fattori: incapacità ed impossibilità.

L'incapacità è costituita da quella serie di vizi ormai endemici alla P.A.: inoperosità dei dipendenti, scarsa formazione, organizzazione caotica, gerarchia poco chiara, duplicazione dei ruoli e delle competenze, eccessiva burocratizzazione del sistema-ente. Tutto ciò crea un disagio a sua volta duplice: incapacità organizzativa (quindi di previsione e gestione della macchina amministrativa) e incapacità di fornire un servizio al cittadino coerente e lineare.

Il problema della incapacità organizzativa è largamente dettata dal fatto che spesso non sono presenti, all'interno degli enti locali, strumenti efficaci di misurazione dell'efficienza pubblica che ricomprendano gli obiettivi raggiunti dalle risorse umane dell'organigramma dal grado più elevato a quello inferiore; pensiamo ad esempio al notevole ritardo con il quale vengono approvati i PEG e quale disfunzione tale ritardo provochi nella capacità di valutare la coerenza dei risultati raggiunti dalle dirigenze con gli impegni decisi dalla parte politica. La Riforma Brunetta ha introdotto da questo punto di vista alcune novità interessanti, ma che sono state scarsamente recepite dagli enti locali e ancor più scarsamente adattate alle situazioni contingenti, con il risultato di essere passate spesso più come un “atto dovuto” che non come una svolta nelle relazioni interne dell'ente.

Il problema della incapacità di offrire servizi al cittadino puntuali ed esaustivi è invece risultante dalla tendenza alla moltiplicazione degli uffici e delle competenze, causata dall'eccessiva burocratizzazione del sistema, che sovente stordisce e scontenta il cittadino-utente. Per calcolare gli effetti negativi di tale approccio, basti pensare a quanto sia avvilente per lo sviluppo economico la difficoltà alla quale oggi è necessario far fronte per aprire un'impresa, anche di modestissime dimensioni. Possibili soluzioni in questo senso possono essere date dall'accorpamento del front-office dei diversi settori (sociale, istruzione, tributi, demografico, commercio), lasciando la lunga trafila di carte e scartoffie al back-office e quindi ai dipendenti comunali; o anche la creazione di mappe dei servizi che siano chiare e fruibili da tutti. Altro supporto deve necessariamente venire dall'informatizzazione dei servizi di base, quali ad esempio anagrafe e tributi, anche al fine di far fronte alla progressiva diminuzione del personale pubblico imposto dal turn-over al 20%. Il cittadino oggi dispone di sempre minor tempo per recarsi fisicamente al Comune, per cui tale informatizzazione è quanto mai necessaria.

L'impossibilità è invece costituita dall'oggettiva decrescita delle risorse comunali causata dal taglio ai trasferimenti operata dallo Stato centrale e dalle Regioni a seguito dell'attuale crisi economica. Tralasciando il giudizio di merito sulla opportunità di eseguire tagli lineari agli enti senza pertanto premiare il merito di quelli oculati e penalizzare invece quelli dissennati, rimane la situazione di fatto che molti enti locali, vissuti per anni al di sopra delle proprie capacità reali, si trovano oggi nell'impossibilità di garantire il foraggiamento di macchine burocratiche cresciute a dismisura come conseguenza sia di una eccessiva burocratizzazione, sia di gestioni clientelari volte solo al conseguimento di un risultato immanente e di breve periodo. Il grande dilemma che si prospetta ai responsabili politici dei nostri giorni sta nella scelta fra un'inversione di tendenza drastica, che riduca gli sprechi e ponga le basi per risultati futuri (quindi non immediatamente visibili in termini di ritorno elettorale) o nella prosecuzione di una politica “estetica” che continua a foraggiare sacche di consenso circoscritto e ad inseguire continue emergenze economiche. Il “problema” (ma sarebbe più giusto dire “il bello”) della politica è che essa si basa sull'ottenimento del consenso, ed in tempi di crisi economica la necessità di “tagliare” fa rima con la perdita graduale di favore elettorale.

Probabilmente, la via giusta sta nel mezzo. La politica avrà la forza di chiedere sacrifici ai propri cittadini solo quando avrà la capacità di eliminare clientelismo e sprechi dal proprio codice genetico; quando sarà in grado di coniugare il supporto alle “strutture amiche” con i servizi al cittadino, il consenso con il merito. La strada è sicuramente in salita per chi è stato abituato a “dare” senza costruire una prospettiva per il futuro della propria città, ma è l'unica strada possibile.

Per andare in questa direzione, l'ente deve subire una doppia trasformazione: al suo interno e verso l'esterno.
Al suo interno, esso deve razionalizzare i costi accorpando e digitalizzando i servizi; trarre forza dalla norma che gli permette di incassare integralmente i maggiori proventi derivanti dalla lotta all'evasione fiscale creando un Ufficio Unico dei Tributi che agisca in maniera coordinata incrociando i controlli; dotarsi di un Ufficio Gare (investendo quindi nella formazione professionale di risorse umane atte a tal scopo) che monitori costantemente i bandi sovracomunali e realizzi materialmente i progetti per accedere ai fondi collegati.
Verso l'esterno, l'ente locale deve evolvere la propria capacità di relazione con l'utente: da ente “attuatore” (quindi erogante diretto di fondi e servizi) deve farsi ente “mediatore”, deve cioè creare le infrastrutture che diano la possibilità ai cittadini di investire su loro stessi. A titolo esemplificativo: invece di erogare direttamente contributi ad associazioni ed imprese, creare sportelli di sostegno all'imprenditorialità ed alla progettazione; invece di promettere posti di lavori, creare Centri di Orientamento al Lavoro. In questo modo si raggiunge il duplice obiettivo di ridurre le spese comunali e di sostenere il merito piuttosto che il clientelismo.